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Le criptovalute non sono il Far West e l’euro digitale imporra' il fintech

Classe 1962, da manager delle banche tradizionali (Ing e Chebanca) a imprenditore nel segmento innovativo ed «eversivo» dei bitcoin a tavola con Christian Miccoli.

«Hayek e Schumpeter hanno ragione. Ha ragione Hayek quando sostiene la necessità di sottrarre allo stato il monopolio della moneta. La concorrenza apportata dalla circolazione di monete alternative obbliga la banca centrale a gestire con maggiore accortezza e disciplina e con minore onnipotenza e prepotenza i suoi strumenti. Ha ragione Schumpeter quando, in contrapposizione a Marx secondo cui lo Stato borghese dovrebbe cadere per le contraddizioni implicite del capitalismo, afferma che è lo stesso capitalismo a risultare minato dalla pervasività dello Stato che per aumentare la spesa pubblica tassa i contribuenti e instaura una relazione parassitaria con la forza creatrice liberata dagli imprenditori. Oggi si assiste a una sovrapposizione fra banche centrali, governi e stati. Il contesto è questo. Le criptovalute sono da maneggiare con cura, ma vanno anche trattate con razionalità: hanno costruito una realtà alternativa che si integra con quella già esistente, la può migliorare, offre una pluralità di opzioni agli investitori e ai cittadini, forma nuove comunità di scambio, ha un contenuto politico e culturale ancora tutto da cogliere».
Christian Miccoli - classe 1962, una moglie di nome Nicla di professione cantante lirica e due figli, Matteo di 26 anni e Elena di 24 anni - non è né un anarco-capitalista né un tecno-invasato del mito e delle opere di Satoshi Nakamoto, il misterioso inventore dell’universo parallelo basato su un algoritmo in grado di generare al massimo 21 milioni di bitcoin (oggi siamo a 18 milioni), che vengono “estratti” da minatori digitali, in una blockchain tenuta in vita dagli sviluppatori e animata da un incontro fra domanda e offerta che fa fluttuare liberamente i valori. È semmai un manager che, nel linguaggio triste degli anni Novanta, ha contribuito negli ultimi trent’anni a tre significative “creazioni di valore” dell’economia italiana: la prima banca diretta telefonica e poi via internet (Ras Bank), il fenomeno del Conto Arancio di Ing Direct (durante il suo periodo, un milione e centocinquantamila italiani lo hanno attivato) e lo svecchiamento di Mediobanca che, grazie a Chebanca, ha avuto accesso a un risparmio privato prima sconosciuto. Miccoli, da imprenditore, ha fondato Conio, una startup che opera nel segmento delle criptovalute, a lungo demonizzato e tuttora non privo di criticità ma ormai in via di graduale assorbimento da parte delle banche d’affari e degli investitori istituzionali.
Al sesto piano di un edificio in Piazza 4 Novembre, a fianco della Stazione Centrale di Milano, il tavolo da pranzo è enorme, in coerenza con le regole anti-Covid sulla distanza fra le persone. Nello stesso palazzo, si trova appunto la sede della fintech creata da Miccoli, dopo l’uscita da Mediobanca, insieme a Vincenzo Di Nicola per permettere ai privati di investire in bitcoin: venti dipendenti che entro l’estate dovrebbero salire a una trentina, un milione e mezzo di euro di fatturato nel 2020, nell’azionariato anche Poste Italiane e Banca Generali e un aumento di capitale da 11 milioni di euro appena concluso.
Con la pandemia, il catering è diventato la forma di colazione di lavoro più frequente. «Ho preferito ordinare io il vino, due bollicine vanno sempre bene», dice Miccoli versando a entrambi un Franciacorta Cà del Bosco.
A Miccoli, in un aeroporto internazionale, per le sue fattezze fisiche qualcuno potrebbe rivolgersi in tedesco. Nel Secondo dopoguerra suo padre Giuseppe, un ragazzo pugliese laureato in ingegneria elettrotecnica all’università di Napoli, emigra in Germania per lavorare come impiegato alla AEG. Conosce Elisabeth, una ragazza di Fulda, nel Land dell’Assia. Elisabeth, arrivata a Milano a 23 anni, non sa l’italiano. Nella famiglia che vive nella parte popolare e piccolo borghese di San Siro, si parla in tedesco. Ricorda Miccoli: «Alle elementari Carlo Dolci ero in classe con Stefano Gabbana, che proveniva dalle case comunali del quartiere. Lui era scatenatissimo. Io non conoscevo l’italiano. E, per questo, anche se ero vivace e mi sentivo a disagio, avevo un trattamento speciale. Lui veniva spesso rimproverato. Io, invece, no. Un giorno la maestra, si chiamava Evelina, per compiacere mia mamma mi diede da portare a casa un biglietto scritto da Stefano: “Ma perché la maestra mi sgrida e, se piango, mi dice che sorriderò quando mi sposerò, mentre a Miccoli, quando piange, lo consola sempre?”».
Miccoli ha un profilo che, in Italia, non ha nessun altro. La sua identità, con il fattore comune del rivolgersi ai singoli consumatori con tecnologie nuove e di facile utilizzo, contempla il massimo del : ha operato con gli angeli che forse del tutto angeli non sono (prima McKinsey, quindi le banche commerciali) e, poi, ha scelto di frequentare i diavoli che, probabilmente, del tutto diavoli non sono. «Per fortuna mi protegge l’aura del mio passato perché, chi non mi conosce, mi guarda con sospetto quando spiego che cosa faccio adesso», sorride mentre iniziamo a mangiare il primo (lui ha un piatto di lasagne al ragù di carne, io delle crespelle al radicchio).
Il tema della percezione di questo mondo rimane spinoso. La presidente della Bce Christine Lagarde e Janet Yellen, già a capo della Federal Reserve e adesso segretaria del Tesoro dell’amministrazione Biden, hanno sottolineato la dimensione speculativa delle criptovalute e il rischio riciclaggio. «Anche se in realtà – afferma abbassando le posate e digitando sullo smartphone alla ricerca di un file – questo documento della Commissione europea assegna, in una scala da 1 a 4, alla liquidità sui conti corrente un grado di pericolosità 4 per il riciclaggio e fra il 3 e il 4 per il finanziamento del terrorismo, mentre assegna per entrambi i casi un 2 alle criptovalute».
Miccoli sembra un ingegnere di fabbrica tedesco. Non ha la attitudine cardinalizia italiana di chi, nelle nostre banche e istituzioni, sa che il potere si divide, si condivide e si spartisce e nemmeno ha, nelle vene, il doping dell’adrenalina da risultato – da ottenere a ogni costo, anche creando negli altri dei sistematici soccombenti – che spesso caratterizza gli imprenditori in purezza o i tecnici collegati ai network professionali internazionali, in cui l’efficienza conclamata ha pure un vago (e ridicolo) connotato di superiorità morale. Per questa ragione, ha lasciato sempre buoni rapporti dove è stato: «Da Mediobanca sono uscito in serenità, anche se non è stato facile operare negli ultimi due anni da amministratore delegato, quando la capogruppo mi assegnava come obiettivo di budget la crescita zero. Per i vertici di Piazzetta Cuccia la gestione del rischio di quella raccolta era sconosciuta e diversa rispetto alla raccolta obbligazionaria. Inoltre, si poneva la questione di che cosa fare con una enorme massa di liquidità. E, in generale, si rischiava uno squilibrio di influenza fra le parti».
Probabilmente la accettabilità sociale e professionale di Miccoli deriva proprio da questa sua radicale tecnicalità. Arriva in tavola una caponata siciliana notevole, da mangiare con pezzi di pane e di grissini. Nel disordine casuale di chi, con alterne fortune e variabili difficoltà e brillantezze, prima della laurea in economia aziendale alla Bocconi ha frequentato il liceo classico Manzoni, oltre alla lettura dei classici («sto rileggendo l’Odissea nella edizione della Fondazione Lorenzo Valla, ogni tanto riprendo in mano Polibio, Plutarco e Senofonte»), Miccoli si è appassionato alla letteratura economica: appunto. La denazionalizzazione della moneta di Friedrich von Hayek e Capitalismo, Socialismo e Democrazia di Joseph Schumpeter. Spiega Miccoli, mentre è servito un calamaro ripieno al profumo di limone: «Credo che siano testi di grande attualità. E che, in qualche misura, siano utili anche per cogliere la forza innovativa delle criptovalute. Dalla recessione del 2008, con la crisi del debito sovrano del 2012 e adesso con la pandemia, gli stati si sono saldati con le banche centrali. Nessuno pensa alla creazione di ricchezza. Tutti pensano all’intervento dello Stato, al sostegno dello stato, al debito dello stato, al reddito di cittadinanza, al moralismo statolatrico e liberticida per cui perfino il sussidio pubblico va speso dagli individui soltanto in alcune attività e non in altre. Intanto, le banche centrali con il quantitative easing comprano titoli di debito pubblico. E il debito pubblico diventa enorme. Per questa ragione, le criptovalute non sono soltanto un fenomeno economico e tecnologico che ha creato una realtà alternativa. Hanno anche un contenuto politico e culturale, di libertà, che non va sottovalutato».
Arrivano in tavola torta di mele e caffè. E Miccoli torna il banchiere che ha costruito il suo track record sulla capacità di comprendere che cosa il cittadino, ignaro di finanza personale e al limite dell’analfabetismo tecnologico, possa desiderare: «Esistono elementi di irrazionalità e elementi di razionalità. Dal 2008, sui mercati tradizionali, tutti hanno ansia e paura. E, dunque, le criptovalute danno una speranza di guadagno a molti e offrono una alternativa ai beni rifugio classici come l’oro. Contano la fantasia e il desiderio. È chiaro che, però, l’euforia alternata alla depressione è sbagliata. Ma è altrettanto vero che la progressiva integrazione delle criptovalute fornisce articolazione e stabilità al sistema finanziario internazionale: l’imminente arrivo dell’euro digitale è destinato a cambiare le cose. Le criptovalute non sono il Far West. Sono soltanto un’altra forma di mercato, tecnologia e comunità».

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